Hubert Renard
(Les archives d'Hubert Renard)
Les archives d'Hubert Renard sortir

 

Movimenti
Automne/hiver 1990, Paola Ghiotti

Invito a Casa
Maurizio Seghi e Hubert Renard
di Paola Ghiotti
Fotografie di Hubert Renard

Collezionista di fotografie da molti anni, fotografo lui stesso, Maurizio Seghi ha più recentemente indirizzato il suo interesse ad altri aspetti dell'arte contemporanea, con entusiasmo e rigore. È oggi un alleato prezioso ed attivo per alcuni giovani artisti italiani, benchè la sua collezione non si limiti alla produzione nazionale : ha infatti di recente aquisito quattro pezzi di Hubert Renard, invitandolo ad intervenire "in situ", nella sua casa di Bergamo dove è installata una gran parte della sua collezione.

Fra i collezionisti d'arte contemporanea, Maurizio Seghi rappresenta certamente una eccezione: non fa l'avvocato, o l'ingegnere, o l'imprenditore, o il banchiere, o l'uomo d'affari : non si colloca in nessuna delle categorie professionali che danno oggi la loro impronta alle collezioni di arte contemporanea. Maurizio Seghi ha studiato architettura a Venezia, per poi dedicarsi finalmente, dal 1973, all'attività che tuttora esercita : la fotografia. In Germania si è fatto conoscere come critico e collaboratore di numerose riviste di pittura e fotografia. Curatore riconosciuto di prestigiose mostre in Italia come in Germania, è dal 1983 professore di Storia della Fotografia alla Scuola di Arti Applicate di Milano. La sua collezione prendeva in primo luogo in considerazione i criteri della fotografia internazionale, sapendosi adattare ai suoi procedimenti ma aprendosi comunque a opere più documentarie o legate a particolarità locali. Nel 1984 il Museo Ludwig di Colonia ha acquistato una parte di questa collezione, essenzialmente i fotografi cecoslovacchi e tedeschi. Da questa vendita Maurizio Seghi ha iniziato una collezione totalmente diversa, aperta a tutti i media dell'arte contemporanea, dalla pittura al video. Con artisti di ogni nazionalità e scelte che non hanno paura del rischio.
È evidente che il mercato dell'arte colloca di nuovo al primo posto l'individuo, cosa strana quando si pensa alle tesi difese dalla post-modernità, promuovendo sempre più personalità, pittori, mercanti, curatori di mostre e collezionisti. Possiamo pertanto chiederci se il collezionista esista realmente come individualità e se tutti gli affaristi e speculatori, superficiali e dilettanti che invadono il mercato corrispondano realmente a questa figura. Da parte sua Maurizio Seghi si domanda come definire il "vero collezionista", trovando in questo termine, nella situazione attuale, qualcosa di ripugnante, che evocherebbe cupidità, tesaurizzazione ed arrichimento. La cosa più importante per lui è il rapporto diretto con le opere : le vuole vicine, viverle ogni giorno, negli stati d'animo più diversi. È in questa interazione che le opere provocano qualcosa. Le scelte del collezionista sono più essenziali di quelle di un curatore di mostra o di un gallerista. Non si tratta più di mostrare per qualche settimana dei quadri che sembrano pertinenti e poi di passare ad altra cosa. La collezione implica la durata; bisogna impegnarsi con l'opera come con gli artisti. Due elementi caraterizzano le scelte di Maurizio Seghi : in primo luogo il fenomeno, piuttosto misterioso ma essenziale, dello choc davanti all'opera, il colpo di fulmine che permette di creare il rapporto. In seguito si installa una relazione intelletuale durevole, attraverso la quale il suo rapporto con l'oggetto raggiunge o incontra quello dell'artista. Le opere importanti, quelle che costituiscono il nucleo centrale della sua collezione, formano anche la sua immagine, il suo marchio, che è una sorta di identità reale con la quale i nuovi aquisti dovranno misurarsi.
Come Maurizio Seghi ha incontrato Hubert Renard ? La domanda non è ingenua poichè quando si pensa specialmente alle collezioni americane (in Europa si dice che avendo visto una collezione a New York è come se si fossero viste tutte le altre), non possiamo impedirci di evocare il problema della standardizzazione. I collezionisti fanno i loro affari dai galleristi che hanno già operato scelte e selezioni. Maurizio Seghi non pretende collezionare, o solo guardare le opere senza pregiudizio. I pregiudizi sono forniti dalle gallerie, dagli stessi artisti, dai media. Per lui, fare una collezione non consiste nel compiere una esperienza originale, autentica, diversa dalle altre e radicalmente personale. Si tratta piuttosto di confrontare oggetti che gli evocano un'esperienza vissuta. Se alcune opere gli divengono insopportabili o insipide, significa che anche lui è cambiato, è cresciuto, è invecchiato. Lo sguardo quotidiano che si pone su un quadro può distruggerlo. Nessuna opera resiste a questa permanenza dello sguardo. È per questo che egli non esita a vendere e a sbarazzarsi delle opere quando lo mettono a disagio ed ecco la ragione per la quale la sua collezione è parte della sua identità ed evita la standardizzazione. Egli cerca anche di avere esperienze più intense che quella di comperare un quadro in una galleria, come per esempio quella con Hubert Renard. Si trattava per una volta non di aquistare un oggetto ma di proporre ad un artista di creare quest'oggetto in funzione di ciò che egli sentiva a contatto con la sua collezione, con la sua casa, con la sua personalità. Un invito, dunque ad intervenire direttamente all'interno della sua collezione. E la proposta è stata fatta a Renard perchè l'incontro stesso con l'artista era stato singolare.
Il collezionista in effetti conosceva il lavoro di Renard già da molti anni, lo aveva incontrato a Colonia nel corso di una sua mostra da Hugo Heimberg, e più recentemente, in Francia, in seguito ad una cena da amici comuni, ha visitato il suo atelier. Nell' arte della collezione di Seghi è importante conoscere gli artisti di persona, di non accontentarsi delle chiacchere che si fanno nei vernissages o nei retroscena del mercato, ma invece di avvicinarsi, a rischio di essere turbato quando un artista lo rende nervoso e del quale le opere vanno esaminate dunque più rigorosamente. Durante questo incontro a Parigi, Seghi dichiarava l'intenzione di aquistare un pezzo : Hubert Renard avrebbe risposto che aveva poche opere disponibili, che la maggior parte del suo lavoro si realizzava in funzione di un luogo, di una situazione, e che era in questo contesto che lui ama lavorare. L'idea di un intervento nella sua collezione sarebbe nata allora. In seguito ad un invito a visitare la sua casa di Bergamo, in cui gran parte delle sue opere vengono esposte, e a lunghi discorsi fatti insieme, è nata fra di loro una relazione di amicizia e di fiducia che rende possibile il concretizzarsi così rapido del progetto. Renard ha voluto approfittare della proposta per fare dal collezionista una sorta di punto sul proprio lavoro, creando quattro pezzi che riprendono i grandi movimenti del suo percorso. Ritrovando il suo interesse per la scultura, ha investito la stanza da bagno e la cucina, stanze fra le più funzionali della casa, per sistemarvi oggetti dallo status ambiguo, tra scultura e mobile. Un accordo amicale tra i due uomini : il lavoro che Renard ha prodotto nel contesto della collezione non dovrà essere rimosso. L'artista ha imposto al collezionista che le opere da lui aquisite sarebbero state esposte nell'ambiente per il quale sono state concepite o altrimenti distrutte. Ne soggiorno ha sistemato un immenso poster sul muro, come le tappezzerie kitch che fecero furore negli anni 70, raffigurante un paesaggio di montagna, sorta di icona moderna del paesaggio riprodotta da una rivista, che rivela la sua vera natura attraverso l'apparizione della trama della quadricomia tipografica. Riferimento evidente alle ultime mostre dell'artista che cerca nella moltitudine delle riproduzioni tipografiche del mondo contemporaneo della comunicazione, un essenza che si troverebbe oltre la sottomissione del segno plastico al senso. La proposta per la camera da letto vuole essere più enigmatica e realizza nello stesso tempo un legame funzionale tra lo spazio e l'opera, situandosi questa volta in una relazione sensuale forte, raramente presente nel lavoro di Hubert Renard.
Maurizio Seghi è molto fiero di questo nuovo aquisto e parla molto volentieri dell'arricchimento che rappresenta per la sua collezione. Parla del lavoro di Renard con passione ed entusiasmo. I due sorridono ironicamente quando si domanda loro se i pezzi che ci hanno presentati sono da considerare come mobili d'artisti (nella cucina la scultura si intitola "Sedia, tavola, scaffale"). Si pensa evidentemente al gruppo Memphis e più particolarmente alla collezione Meta Memphis (Sandro Chia, Mimmo Paladino, Pier Paolo Calzolari, Alighiero Boetti, ma anche Joseph Kossuth, Laurence Weiner ecc...) ma i nostri due compari preferiscono parlare di un melange di generi. Ci mostrano come il problema, il punto, sia essenzialmente una questione semantica piuttosto che una verità storica. Nello stesso modo non si parla più di pittore o di scultore, ma di artista : i mobilieri, gli estetologhi e gli alti desiners sono divenuti creatori, sempre più vicini al mondo dell'arte (Ettore Sottsass, Gaetano Pesce, Andrea Branzi) allorchè gli artisti ricercano i mobili degli altri, si impegnano a provocarne un deprezzamento ludico (Bertrand Lavier, Saytour, Jean-Luc Vilmouth, Jan Vercruysse...). Non è solo il vocabolario che slitta ma anche gli atteggiamenti che cadono. Tale designer abbandona credenze e mensole a vantaggio di "strutture primarie autoportanti", un altro abbandona i suoi concetti per dedicarsi al quotidiano. E questa storia di incroci, di citazioni, di prestiti da un piccolo mondo a un altro, non è cosa nuova (ricordiamo solo la Pop Art che guardò molto ai maestri della quotidianità). Renard ama l'idea di spostamento. Per lui la creazione (artistica ma non solo) si produce nel momento in cui si verifica un divario nel campo reale, e la questione "mobile o opera d'arte" non si pone altrimenti che nel rapporto di questo oggetto con una realtà ambientale o di avvenimenti. Con la collezione Seghi ha giocato ora sull'intimità di una casa privata, abitata, ora sul rapporto del proprio lavoro con questo spazio, luogo di presentazione di una collezione di arte contemporanea. Avendo stabilito come condizione che i suoi oggetti siano legati a un unico luogo della casa, con il tempo la collezione, ingrandendosi, li confronta ad altre opere, diverse da quelle presenti al momento della concezione. Renard ama ripetere che c'è più dialogo con il collezionista che non con la collezione, che il suo lavoro si inserisce attraverso una relazione con una casa privata piuttosto che con la sala di esposizione.
In definitiva, Seghi e Renard hanno trovato in quest'esperienza un approccio differente alla propria attività. Il collezionista che si è stancato dei cambiamenti che il mercato ha conosciuto negli anni 80, dall' impennata dei prezzi alla moltiplicazione delle vendite, che ricorda i momenti in cui i mercanti potevano lasciargli fino a sei mesi un quadro importante, prima che si decidesse ad aquisirlo, e che fa parte di chi pensa che il tempo conferisca all'arte una certa patina, si rallegra d'aver partecipato in parte alla creazione di un opera che verrà liberata dalla frenesia contemporanea, concepita e realizzata in un rapporto umano di fiducia, e sistemata nella sua collezione come elemento intrinseco a questa, della sua stessa natura. È già successo che dei collezionisti chiedano ad un artista di realizzare un opera specialmente per la loro collezione, come Gerald S. Eliott a Francesco Clemente, ma c'era in gioco in questo caso qualcosa in più: un legame forte e intimo tra le due opere, tra i due uomini. Per l'artista, la concezione e la realizzazione di questo nuovo lavoro sono stati condotti come al suo solito, purtuttavia con la nozione eccezionale di non dover misurare le condizioni di ricezione dell'opera, visto che i quattro pezzi creati avranno un solo pubblico : il proprietario della casa. Per Renard non si trattava unicamente di rispettare un'ordinazione, di fare su misura, ma invece di rivolgersi in particolare ad una sola persona, di produrre un pezzo cui la vita futura fosse già nel progetto stesso. Produrre per nessun altro che per se stessi e per chi possiederà questo oggetto. "È una bella cosa, dice, perchè è probabile che l'arte non abbia niente a che fare con la comunicazione".

Traduction de l'article par William Fischer :

Invitation à la maison
Maurizio Seghi et Hubert Renard
par Paola Ghiotti
Photographies : Hubert Renard

Collectionneur de photographies depuis de nombreuses années et photographe lui-même, Maurizio Seghi s'est récemment tourné avec enthousiasme et rigueur vers d'autres aspects de l'art contemporain. Il est devenu un allié précieux et actif pour de jeunes artistes italiens, bien que sa collection ne se limite pas à la production nationale ; en effet il a récemment acquis quatre œuvres d'Hubert Renard, en l'invitant à intervenir "in situ", dans sa maison de Bergame où est installée une grande partie de sa collection.

Parmi les collectionneurs d'art contemporain, Maurizio Seghi représente certainement une exception : il n'est ni avocat, ni ingénieur, ni entrepreneur, ni banquier ou hommes d'affaires, il n'appartient pas aux catégories professionnelles qui influencent aujourd'hui les collections d'art contemporain. Maurizio Seghi a étudié l'architecture à Venise, pour finalement se consacrer, depuis 1973, à l'activité qu'il mène encore aujourd'hui : la photographie. En Allemagne, il s'est fait connaître comme critique et collaborateur à de nombreuses revues de peinture et de photographie. Commissaire reconnu de nombreuses expositions en Italie comme en Allemagne, il est depuis 1983, professeur d'Histoire de la Photographie à l'École d'Art appliqué de Milan. Sa collection prenait d'abord en considération les critères de la photographie internationale, en sachant s'adapter à son évolution, mais en s'ouvrant aussi à des œuvres plus documentaires ou liées à des particularismes locaux. En 1984, le musée Ludwig de Cologne a acquis une partie de cette collection, essentiellement les photographes tchécoslovaques et allemands. Après cette vente Maurizio Seghi, a commencé une collection complètement différente, ouverte à tous les média de l'art contemporain, de la peinture à la vidéo, avec des artistes de toutes nationalités et en osant des choix audacieux.
Il est évident que le marché de l'art place de nouveau l'individu au premier plan, mettant toujours plus en avant des personnalités, des peintres, des marchands, des organisateurs d'expositions et des collectionneurs, ce qui est étrange quand on pense aux thèses défendues par le post-modernisme. On peut donc se demander si le collectionneur existe réellement comme individualité et si tous les affairistes et spéculateurs qui envahissent le marché répondent vraiment à sa définition. Pour sa part, Maurizio Seghi se demande comment définir le "vrai collectionneur", trouvant en ce terme, dans la situation actuelle, un rien de répugnant, qui évoquerait la cupidité, la thésaurisation et l'enrichissement. Le plus important pour lui, c'est le rapport direct avec les œuvres ; il les veut proches de lui, vivre avec elles jour après jour et dans les états d'âme les plus divers. C'est dans cette interaction, que les œuvres provoquent quelque chose. Les choix du collectionneur sont plus essentiels que ceux d'un commissaire d'exposition ou d'un galeriste. Il ne s'agit plus de montrer pour quelques semaines des tableaux qui semblent pertinents et puis de passer à autre chose. La collection impose la durée, il faut s'impliquer tant avec les œuvres qu'avec les artistes. Deux éléments caractérisent les choix de Maurizio Seghi, en premier lieu, le phénomène, plutôt mystérieux mais essentiel, du choc ressenti, du coup de foudre qui crée le lien avec une œuvre ; ensuite s'instaure une relation intellectuelle durable, à travers laquelle le rapport à l'objet rejoint ou rencontre celui de l'artiste. Les œuvres importantes, celles qui constituent le noyau central de sa collection, en définissent une image, une marque, qui devient une sorte d'identité réelle à laquelle devront se mesurer les nouvelles acquisitions.
Comment Maurizio Seghi et Hubert Renard se sont-ils rencontrés ? La question n'est pas innocente puisque lorsqu'on pense aux collections américaines (en Europe, on dit que lorsqu'on a vu une collection à New York, on les a toutes vues) on ne peut s'empêcher d'évoquer le problème de la standardisation. Les collectionneurs font leurs achats auprès de galeristes qui ont déjà opéré des choix et des sélections. Maurizio Seghi ne prétend pas collectionner ou regarder les œuvres sans préjugés ; préjugés produit par les galeries, par les média et par les artistes eux-mêmes. Pour lui, constituer une collection, n'est pas vivre une expérience originale, authentique, différente de toute les autres et radicalement personnelle. Il s'agit plutôt de confronter les objets qui l'attirent avec son propre vécu. Si des œuvres lui deviennent insupportables ou insipides, cela signifie que lui aussi a changé, a grandi, a vieilli. Le regard que l'on pose quotidiennement sur un tableau, peut le détruire. Aucune œuvre ne peut résister à cette permanence du regard. C'est pour cela qu'il n'hésite pas à vendre et à se débarrasser des œuvres qui le gênent et c'est pour cela que sa collection fait partie de sa personnalité et évite la standardisation. Il recherche des expériences plus intenses que celle qui consiste à acheter un tableau dans une galerie, d'où la relation avec Hubert Renard. Il s'agissait pour une fois, non pas d'acheter un tableau dans une galerie, mais de proposer à un artiste, de créer cet objet, en fonction de ce qu'il allait ressentir au contact de sa collection, de sa maison, de sa personnalité. Une invitation, à intervenir directement à l'intérieur de sa collection : voilà la proposition qu'il a fait à Renard, parce qu'également leur rencontre avait été singulière.
Le collectionneur, en effet, connaissait le travail de Renard depuis plusieurs années, il l'avait rencontré à Cologne, lors de son exposition chez Hugo Heimberg et plus récemment, en France, il avait visité son atelier, après un dîner chez des amis communs. Dans l'art de collectionner de Seghi, il est important de connaître les artistes en personne, de ne pas se contenter des bavardages des vernissages ou de celles des arrières-boutiques du marché, mais plutôt de prendre contact, au risque d'être troublé quand artiste le rend nerveux et dont les œuvres seront donc examinées encore plus rigoureusement. Lors de cette rencontre à Paris, Seghi déclarait vouloir acquérir une œuvre et Hubert Renard aurait répondu qu'il en avait peu de disponibles, que la majeure partie de son travail se réalisait en fonction d'un lieu, d'une situation et que c'était dans ce contexte qu'il aimait travailler. L'idée d'une intervention dans sa collection serait alors née. Après l'invitation à visiter sa maison de Bergame, où une grande partie de ses œuvres sont exposées, et aux grandes conversations qui s'en suivirent, il est née entre eux, une relation d'amitié et de confiance qui rendit possible la concrétisation aussi rapide du projet. Renard a voulu profiter de la proposition, pour faire chez le collectionneur, une sorte de point sur son propre travail, en créant quatre pièces qui reprennent les grands axes de son parcours. Retrouvant, son intérêt pour la sculpture, il a investi la salle de bain et la cuisine, les pièces, les plus fonctionnelles de la maison, pour y placer des objets au statut ambigu, entre objet et meuble. Un accord amical entre les deux hommes, prévoit que le travail produit par Renard, dans le contexte de la collection, ne pourra en être ôté. L'artiste a imposé au collectionneur que les œuvres qu'il a acquises seront exposées dans l'endroit pour lequel, elles ont été conçues ou bien détruites. Dans le séjour, il a placé un immense poster sur le mur, comme les tapisseries kitsch qui firent fureur dans les années 70, il représente un paysage de montagne, une sorte d'icône moderne du paysage ; repiqué dans un magazine, il révèle sa vraie nature, par l'apparition de la quadri de la trame typographique. Référence évidente, aux dernières expositions de l'artiste, qui recherche dans la profusion des reproductions typographiques du monde de la communication contemporain, une essence qui serait au delà de la soumission du signe plastique au sens. La proposition concernant la chambre à coucher veut être plus mystérieuse, elle réalise en même temps, un lien fonctionnel entre l'œuvre et l'espace, en se situant, cette fois, dans une relation sensuelle forte, rarement présente dans le travail d'Hubert Renard.
Maurizio Seghi est très fier de ce nouvel achat et parle volontiers de l'enrichissement qu'il représente pour sa collection. Il parle du travail de Renard, avec passion et enthousiasme. Tous deux sourient ironiquement quand on leur demande, si les pièces qu'ils présentent doivent être considérées comme des meubles d'artiste (dans la cuisine, la sculpture s'intitule "Chaise, table, étagères"). On pense évidemment, au groupe Memphis et plus particulièrement à la collection Meta Memphis (Sandro Chia, Mimmo Paladino, Pier Paolo Calzolari, Alighiero Boetti, mais aussi Joseph Kossuth, Laurence Weiner…) mais nos deux compères préfèrent parler d'un mélange de genre. Ils nous montrent que le problème, la contradiction, est plus essentiellement une question sémantique qu'une vérité historique. De même manière, on ne parle plus de peintres ou de sculpteurs, mais d'artistes : les fabricants de meubles, les esthéticiens et les grands designers sont devenus des créateurs, toujours plus proches du monde l'art (Ettore Sottsass, Gaetano Pesce, Andrea Branzi) alors que les artistes recherchent les meubles des autres, cherchant à les soumettre à une dépréciation ludique (Bertrand Lavier, Saytour, Jean-Luc Vilmouth, Jan Vercruysse…). Ce n'est pas seulement un glissement de vocabulaire, mais aussi un changement d'attitude. Tel designer abandonne les buffets et les étagères en faveur de "structures primaires autoportantes", un autre abandonne ses concepts pour se consacrer au quotidien. Et ces chassés-croisés, ces citations, ces prêts d'un petit monde à un autre, ne sont pas nouveaux (rappelons nous du Pop Art qui s'inspira beaucoup des maîtres du quotidien). Renard aime l'idée du déplacement. Pour lui, la création (artistique, mais pas seulement) se produit au moment où l'on constate un décalage dans le champ du réel et la question "meuble ou œuvre d'art" ne se pose autrement que dans le rapport de cet objet avec une réalité environnementale ou événementielle. Avec la collection de Seghi, il a donc joué sur l'intimité d'une maison privée, habitée et donc sur le rapport de son propre travail avec cet espace, lieu de présentation d'une collection d'art contemporain. En ayant posé comme condition, que ses objets soient liés à un lieu unique de la maison, avec le temps, la collection en s'agrandissant les confrontera à des œuvres différentes de celles présentes au moment de leur conception. Renard aime à répéter, que le dialogue est plus avec le collectionneur qu'avec la collection, que son travail se met en place bien plus dans sa relation à la maison privée, que dans le lieu d'exposition.
En définitive, Seghi et Renard ont trouvé dans cette expérience, une approche différente à leur propre activité. Le collectionneur, est fatigué des changements intervenus dans les années 80, de l'envolée des prix, de la multiplication des ventes. Il se rappelle du temps où un marchand lui laissait jusqu'à six mois un tableau important, avant qu'il ne se décide à l'acquérir. Il fait partie de ces gens qui pensent que le temps confère à l'art une certaine patine. Il se réjouit d'avoir participé, en partie, à la création d'une œuvre qui échappera à la frénésie contemporaine, conçue et réalisée dans un rapport de confiance et placée dans sa collection comme un élément intrinsèque, de par sa nature même. Il est déjà arrivé que des collectionneurs demandent à un artiste de réaliser une œuvre, spécialement pour leur collection, comme Gerald S. Eliott à Francesco Clemente, mais dans ce cas précis, il y a quelque chose en plus : un lien fort et intime entre les deux œuvres, entre les deux hommes. Pour l'artiste, la conception et la réalisation de ce nouveau travail ont été menées comme d'habitude, avec toutefois la notion exceptionnelle de ne pas avoir à se confronter aux conditions de réception de l'œuvre, puisque les quatre pièces auront un seul public, le propriétaire de la maison. Pour Renard, il ne s'agissait pas uniquement de se conformer à une commande, de faire du sur mesure, mais plutôt de s'adresser à une seule personne, de produire une pièce dont la vie à venir était déjà contenue dans le projet. Produire que pour soi et pour qui possédera cet objet. "C'est bien, dit-il, parce qu'il est probable que l'art n'ait rien à voir avec la communication".